Si dice che il surf sia una forma di cultura. Si dice che sia uno stile di vita. Si dice che il surfista sogni onde perfette per poi scoprire che l’onda perfetta in realtà è quella surfata il giorno prima, mentre in un fiume di corrente d’acqua marrone ha ricavato quel barlume d’onda capace di illuminargli la giornata. Questo si dice. Che non esiste nessun posto così distante da casa propria come il posto in cui si è lontani da se stessi: anche se sei nel tuo soggiorno, seduto sul tuo divano, davanti al tuo televisore. La casa di chi ama il mare è nel mare: non c’è surfista che non si senta così a casa propria come quando è a cavallo della propria onda. Ovunque essa sia. Si dice che ogni volta che si entra in mare si stia tornando a casa, e che non si parte tanto per tornare quanto perché andare è come venire, e partire è già incamminarsi sulla via del ritorno. Si dice che la vita stessa sia un viaggio. E che il surf altro non sia che una forma di religiosità. Si dice che i surfisti sono come una tribù, con proprie regole, e un proprio linguaggio, e un proprio codice d’onore, e quell’incredibile capacità di attraversare paesi e incontrare persone che, come loro, sono divorate da un demone in lotta con l’anima, che stringe lo stomaco ogni volta che annusando l’aria si avverte il sapore del salmastro. Si dice (e questo l’ho letto da qualche parte una volta ed è fantastico a dirsi) che attraversare i posti sia diverso da vivere i posti, ma altrettanto poetico, e che senza una destinazione ogni attimo è un esame, e che l’unica salvezza sia sapere cosa fai e chi sei. Ma soprattutto si dice che se sai farlo allora tutte le situazioni diventano ugualmente importanti, e il posto dove sei è soltanto una tappa verso il prossimo. Si dice che questa sia la sola differenza tra surfare e non farlo.
Tutto questo è vero. Ma non è ancora sufficiente. Il surf è rivelazione. Il surf ti cambia la vita. Il surf è lo sport dei re. Un incantesimo maledetto. Una malattia, una missione un semplice gioco punto e basta. Un rito. Quello che io so è che alle volte cercare di definire il surf dà l’idea di profanare un silenzio carico di significati con parole che non ne hanno mai abbastanza. Spiegare il surf è difficile, definirlo praticamente impossibile, capirlo può essere incredibilmente facile. Che altro? Nient’altro. Chi ha navigato tanto lo sa bene che alle volte non sono le parole che ama, il mare: ma i silenzi.
Matteo Telara
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